
Aretusa ed Alfeo
La leggenda narra che...
La ninfa Aretusa, figlia del saggio Nereo e della dolcissima Doride, era vissuta gioiosa e libera nel lussureggiare dei rigogliosi boschi dell'Elide, ricche di selvaggina e di chiare acque.
La bellezza della giovane faceva invidia alla stessa Venere.
La pietosa Artemide, per sottrarla alla possibile vendetta della divina Afrodite, chiese a Nereo che Aretusa facesse parte del suo corteggio. Il dio acconsentì, sebbene l'opposizione della madre Doride. Artemide educò la fanciulla all'arte della caccia e della pesca, al nuoto, alla corsa, ove eccelleva come un inveterato atleta olimpico.
Nessuno poteva gareggiare con l'achea Aretusa, nemmeno i destrieri o le veloci cerbiatte.
Un giorno, stanca per una lunga corsa nel bosco di Stinfalo ed arsa dalla cocente calura estiva, Aretusa si mise alla ricerca d'un corso d'acqua ove fare un bagno ristoratore. Ascoltò tra il cinguettio degli uccelli, il gracidio delle rane, il canto dei grilli e il frinire delle cicale, lo sciabordio lento, ma invitante delle acque d'un fiume. Vi s'avvio spedita per placare la sua sete e l'arsura del suo corpo, giungendovi di lì a poco.
Il fiume, nel luogo ov'ella era pervenuta s'allargava fino a formare un laghetto di buona profondità. Aretusa ne colse subito la bellezza dei colori delle acque che rifrangevano il celeste del cielo ed il verde delle piante, che avvolgeva tutto intorno quel sito.
Quelle tonalità variegate di colori, arricchite dall'intensa luce solare si posavano sul laghetto per, poi, penetrarvi in profondità, da cui rimbalzavano dei raggi ravvivati di novello splendore, che si disperdevano tra i rami, aggiungendo lucentezza cristallina al verde delle foglie.
Aretusa rimase ammaliata da quel luogo, dalle invitanti acque, dalla serenità della natura. Poi. Toltisi di dosso la sudata veste e i leggeri calzari, regalatile dalla cara Febea, si presentò pudica e magnifica in quella acque dolci e scorrevoli. Un leggero brivido le corse per il corpo, quando v'immerse i delicati piedi. Ma poi si fece coraggio e con un saltello all'indietro si tuffò in quel voluttuoso refrigerio.
L'acqua scivolava sulla sua vellutata pelle, mentre il suo corpo appariva come una statua equorea di prassitelica fattura. Nuotava supina la diva, girando attorno al laghetto con lentissime bracciate, che non lasciavano sollevare veruna goccia d'acqua.
Un albero che protendeva i suoi rami fin a coprire buona parte del lago, fece cadere una foglia pudica per coprire le nudità della ninfa, che il Sole gaudente baciava. Apollo, sconfitto, ritrasse, alora, i suoi raggi infuocati tra la gioia indicibile d'Alfeo. Questo era il nome del fiumicello, cui Aretusa aveva affidato le sue perfette membra divine. Poi, il silenzio assoluto avvinse tutta la natura intorno ed anche il fiume. Né un cinguettio, né un cicaleccio. Niente. Tutto era divenuto taciturno e silente.
Era trascorso poco tempo, allorquando quella tranquilla e splendida pace surreale fu interrotta da un prolungato ed incomprensibile sussurro.
Aretusa capì che qualcuno stava violando quel luogo.
Presa da grande paura, uscì dal fiume alla ricerca della sua veste, che indossò subito senza nemmeno asciugarsi. L'umidità del suo corpo le appiccicò addosso lo striminzito e finissimo abito. La sua pelle divenne un tutt'uno col drappo, che evidenziava con malizia il corpo della ninfa.
La figlia di Nereo, spaventata a morte dagli insistenti sussurri sempre più pressanti, fuggì tra la boscaglia, come una veloce gazzella. Alfeo, che in cuor suo pretendeva la ninfa, con voce roca le gridò dietro: "Dove corri? Fermati Aretusa!".
La voce del dio di quelle acque accelerò la corsa della giovane, che sembrava avere le ali d'Ermete ai piedi. La fuga d'Aretusa costrinse Alfeo ad uscire dal letto del fiume e a correrle dietro per convincerla ad arrestare la sua interminabile corsa.
La ninfa correva come la povera colomba con le ali palpitanti tenta di sfuggire al crudele e bramoso avvoltoio.
L'età non consentiva ad Alfeo di raggiungere Aretusa.
La giovane attraversò Orcomeno, Psofide, Cilene, eppoi l'amatissima e splendida regione di Lenamaria o Pisa nell'Elide, ov'ella era nata, ed ancora le valli ove governava la graziosissima regina Marilena, ed il gelido Erimanno.
Alfeo, con caparbia determinazione, ne seguiva le orme.
Sapeva che prima o poi l'avrebbe raggiunta. Non era veloce come la nereide Aretusa, ma in compenso sopportava benissimo la lunga fatica.
Quando la poveretta comprese che la sua estenuante corsa era inutile, perché sentiva alle sue spalle i passi cadenzati del suo innamorato, si rivolse alla cara Artemide, esclamando con quel poco fiato che le restava ancora in corpo: "Sono presa, aiutami!".
Le toccanti parole accorate della ninfa raggiunsero la dea della luna e della caccia, ma soprattutto della castità delle fanciulle, commovendola. Febea prese una delle sue dense nubi, ricche d'acqua, v'avvolse Aretusa, celandola agli occhi del sopraggiungente Alfeo.
La ninfa non fiatava. Restava ferma, immobile. Il dio del fiume girò due volte attorno alla nuvola, vociando:"Aretusa! Aretusa!". Quindi, con passo celere s'avviò verso meridione alla ricerca dell'amata ninfa.
Artemide con mossa fulminea soffiò intensamente contro la nube che avvolgeva Aretusa, inviandola in direzione della Sicilia. Giunta nell'isola d'Ortigia, la nuvola s'incaricò di deporvi la ninfa, così come le aveva ordinato la divina Artemide.
La scomparsa improvvisa della ninfa aveva addolorato profondamente Alfeo, che disperato si rivolse, implorante aiuto, al padre suo Oceano. Le sue sentite pregiere non rimasero inascoltate dall'affettuoso genitore. Oceano aprì le acque salate dell'Ionio per farvi scorrere Alfeo, che potè così raggiungere l'isola siracusana d'Ortigia.
Aretusa, nel contempo, a causa della lunga corsa, non cessava di sudare. Dal corpo della stanchissima ninfa, senza alcun arresto, continuavano a cadere cerulee gocce. Non trascorse molto tempo ed Aretusa si tramutò in fonte. Alfeo riconobbe le acque tanto amate e, deposta la sua forma umana che aveva assunto per far innamorare Aretusa, si convertì nelle usuali acque, per mescolarsi con quelle della fonte.
Aretusa, avvinta da tanto amore e da tanta costante insistenza, cedette alle voglie di Alfeo. Artemide pietosa provvide a scavare sotto la fonte una caverna, per consentire ad Alfeo di farvi affluire le sue acque e potersi unire eternamente con la sua adoratissima Aretusa, tra il verde del persistente papiro.
Bagnarsi in quelle acque per qualsiasi coppia d'amanti è un ottimo auspicio di felicità futura. Così recita la leggenda della fonte d'Aretusa.