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28 Aprile 2006. Finalmente arriva l'attesissimo ottavo album in studio
dei Pearl Jam a quattro anni di distanza da Riot Act. Finisce l'era
Epic/Sony e questo è ill primo per l’indipendente J Records
(anche se molto ci sarebbe da dire a riguardo, visto che essa fa parte
della Arista, a sua volta controllata da Sony…) Il fatto che il
disco sia omonimo è un segnale di quanto la band lo considerasse
importante. Ma non sono certo questi pettegolezzi, ne i discorsi sull'impegno
politico dei nostri negli ultimi anni che mi interessano: non sto andando
a votare, cazzo, sono la miglior rock band in circolazione da un pò,
la piu bastarda di tutte perke cn le sue canzoni riesce ancora a commuovermi,
a tirar fuori la rabbia repressa (in maniera positivva) che è
inme... Voglio questo, solo questo, della sana buona musica, e di questo
e delle mie sensazioni parlerò.
Parte il cd con "Life Wasted" abbastanza ruvida " a life
waste... i'll never come back again", sembra che Eddie abbia deciso
di tagliare col passato..."why let the sad song play?".. sembra
voler presagire un netto distacco dalle canzoni nere che ne hanno decretato
la fortuna ..vedremo alla fine se avrà ragione..
CMq come incipit è abbastanza diretto.. forse...
Second pezzo è WWS, il singolo che ha preannunciato l'album (reso
disponibile dalla band in download gratuito dal web contro ogni logica
di mercato.. forse). WWS scorre via direttamente, fin troppo quasi,
sa un po troppo di costruito a tavolino, senza quelle tinte di colore
che possano impressionarmi più di tanto..
Arriva COmatose e la voce di Eddie si fa rauca, strozzata, cazzo , finalmente
quello che cercavo, e dai comincio ad alzarmi dalla sedia , credo che
dal vivo sarà grandiosa, trasinante. "feeel it rising..
yeh next stop falling..." Un pezzo alla gGreen Disease che come
esso poteva dare ancora di piu se solo Eddie aveva la carica cella rabbia
adolescenziale ormai sedata.."ill break the law..."
Severed Hand ti spiazza un pokino con quell'inizio lento e poi alla
binaural (per carità) e poi quel riff che ha già del sentito.
Primo ascolto nn convincente, ma con gli ascolti aumenta il giudizio
su questo pezzo.. in definitiva "i said .. yeh"..
quito pezzo MArker in the sand.. cazzo, stracazzo,questa si che è
una gran bella canzone... con un inizio pseudo zeppeliano e un ritornello
aperto e dolce.. pr tornare a certe sonorità che direi divine
"GOd what do you say?"
Dopo un inizio abbastanza tirato questo sarebbe il momentone perfetto
per una ballata classica anche solo chitarra e voce.. e sembra esserlo
con PAracules (o come cavolo si chiama).. che prprio non riesce a garbare..
non decolla per niente.. una sorta di ruffianata a certi suoni simil
60, forse beatlesiani.. non è malaccio oddio, ma proprio non
sopporto la voce di eddie quando quasi falsetta e quel martellamento
di spizzicamentodelle corde della chitarra.. tutto sommato non è
malaccio, ma secondo me un po insignificante
Ora parte Unemployable.. che non riesce proprio a prendermi, non riesco
a farci nulla, se non nel finale... oh o h o h o h o h troppo liscia...
BIg Wave e si ritorna in alto..alla ruvidità profonda, profondità
di cui forse manca il testo, ma una vontata di refrigerio in un momento
di fiacca dell'album, proprio come una grande onda su un mare calmo
ad agosto.. Essenziale. Forse la canzone più sottovalutata dell'album
da molti fan..
Gone.. ecco la ballata dall'inizio lento, triste,dalla voce calda di
Ed aala nothinman "once divided).. una grande canzone.. che secondo
le premesse di Ed nn puo essere triste... e sembra aprirsi... infatti
in vocalizzi leggeri... un successone secondo me mancato per via prorio
del ritornello ... poteva essere il pezzone da lacrime... invece è
un miscuglio di emozioni che nn porta da nessua porta..cmq buona
Wasted reprise.. piccolo intermezzo che riprende rit di life wasted..
accompagnato da un piano o organo.. che secondo me potrebbe potrarsi
per l'eternità... bello
Army reserve...non mi piace per niente.. la vedrei bene su binaural..
non basta che al testo ci sia la collaborazione con D. Echols..................
Cme back.. e si accendono gli accendini... di una dolcezza infinita..
forse qlcno direbbe anche troppo mielosa... non c'è altra.. io
non ci vedo rancori, rabbie, disperazioni alla stregua di Black... semplicemente
una splendida canzone d'amore... da usare come sottofondo mentre guardi
negli occhi il tuo amore.. Ma forse la canzone non doveva essere solo
questo..
E quando meno te lo aspetti, quando sembra tutto finito, che arrivano
le gioie piu belle.. Al contrario di altri lavori qui non c'è
un fianle in decrescendo di intensità.. ma si arriva al pathos
di intensità proprio con il pezzo di chiusura.., l'apoteosi dell'arte
con un pezzo fortemente intimista che, sorprendentemente porta la firma
di quel pazzo scatenato che è Mike (ve lo sareste aspettato?)..COincidenza?
Che ed abbia perso ispirazione o solo che voglia trasmettere qlcsa che
a me non arriva? Unica pecca di sta perla a volte il cantato di ed che
in qualche occasioni cerca vocalizzi troppo sofisticati fine a se stesse
"make myself a pact, not to shut doors on the past.. just for day"...
e forse prprio questo sprazzo di passato produce sensazioni forti inennarrabili...da
sentire e risentire... "i used to try and kill love, it was the
highest sin.."
In definitiva "Pearl Jam" è un album che sicuramente
intimista nn è nella sua globalità, e non è come
me lo aspettavo, come lo vorrei, frse pecca la scaletta dei pezzi o
la scelta (vedremo poi se apparirà qualke outtakes a confermarmelo).Un
album che ha il sapore di un album non troppo schietto, poco sperimentale,
quasi da rock band consolidata che va avanti per la sua strada e io
non voglio che Ed diventi il Bono della situazione. Manca del tutto
quel pizzico di genio folle che ha caratterizzato altri album, manca
forse la mega balla dona da brivido da cantare infinite volte fino a
perdere la voce, manc il pezzo rabbioso dove spaccare la chitara.Trppo
omogeneo e se mi consentite forse un po costruito, come omonimo mi pare
proprio il meno adatto a descrivere l'essenza dei nostri...
Nulla toglie che sia un ottimo album... migliore di tuutto il rsto che
gira in sti giorni in giro.. ma sarà che io pretendo sempre il
massimo.. la perfezione non so... cmq nella norma dei Pj alla stregua
di Yeld.. buono da ascoltare in macchina...ma che nno raggiunge la vetta
di Ten o di Nocode o Vitalogy..
Ci riferiamo, naturalmente, alla voce di Vedder - quella densità
pensosa e graffiante - ma anche alla propensione per certo folk più
o meno psichedelico, radicato in profondità nell'immaginario
sonico angloamericano. Ogni accenno di sperimentazione sembra accantonato,
limitandosi ormai a qualche filtraggio sfrigolante di chitarra come
già in Yield. Lo stesso vale per quell’inclinazione soft
che sembrava far prevalere l’afflato melodico sullo scambio di
fendenti ritmico/armonici. Oggi i riff - poche storie - tornano a farla
da padrone.
I riff: uno più tosto dell'altro, arzilli e stantii
micro-rituali del solito vecchio credo che ci ostiniamo a chiamare rock.
Dalla ruvidità esagitata dell'iniziale Life Wasted al duplice rovello
pseudo-Led Zep di Marker In The Sand, dai funkeggiamenti di Severed Hand
(sorellastra di Animal) ai vorticosi tumulti di Comatose (cuginetta di
Spin The Black Circle). Va detto che quest'ultima sciorina una veemenza
didascalica che la fa sembrare un po' omaggio un po' parodia di certo
metal, Iron Maiden in primis. Sarà per il tocco non proprio garbato
di McCready, autore del pezzo assieme a Gossard, sensazione del resto
confermata dall'ambiziosa Inside Job - scritta stavolta con Vedder - dove
si lavora di sciabola ciò che sarebbe stato meglio affidare al
bisturi. Insomma, c'è nell'ostentata sicumera qualcosa che non
va dritto. C'è uno strano spaesamento sottotraccia, come se guardandosi
dentro e intorno i Jam percepissero la mancanza di saldi punti d'appiglio.
Per cui ecco quei bridge che non sanno bene cosa fare dove andare, per
cui ecco quel ritornello che mastica un bocconcino insipido. Ed ecco quella
strana sensazione di gioco, di consapevole virtualità, come se
non fosse altro ormai che una partita amichevole col proprio mito.
Ciò non inibisce episodi convincenti come Big
Wave, capace di sputare raffiche di bile amara senza sconti e finire in
un bel groviglio di effetti sincopati. O come World Wide Suicide, dove
Vedder si sdruce il velopendulo al modo dei bei tempi. O come l'intensa
Army Reserve, scritta dal sempre impegnato Eddie assieme a Damien Echols,
uno dei tanti ospiti del braccio della morte USA. Per il resto, segnali
contrastanti, corrente alternata. Ora il rétro intorbidato circa
Elliott Smith di Parachutes, con l'organetto sguinzagliato a stanare brume
fifties. Ora gli umori soul fin troppo potabili di Come Back, dissipati
da un ruffianissimo assolo. Quindi quella Gone - dedicata a Pete Townshend
- che spande nelle strofe un'amarezza dolorosa per poi mandarla in vacca
con vocalizzi recuperati pari pari da Alive. Insomma, sapevamo quanto
fosse fuori luogo, forse addirittura ingiusto, sperare in un nuovo No
Code. Ma se c'era un momento per un colpo di reni, per il guizzo spiazzante/emozionante,
questo era il disco giusto. Invece, i Pearl Jam si consegnano ad una dimensione
senza genio, dove quel che conta è impiegare nella maniera più
consona e redditizia il patrimonio - di credito, di esperienza - accumulato.
Sia chiaro che non ci trovo alcunché di disonesto. Anzi, credo
proprio che i fan gradiranno, intercettando i segni della familiare schiettezza.
Tutti gli altri, no problem, potranno farne a meno.
(6.2/10)
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