Deli e Plutone

Tanto, tanto tempo fa, prima ancora che gli uccelli cinguettassero, che i fiumi corressero verso i mari, che gli oceani fossero salati, che i cuori fossero aridi, viveva, in una terra tinta di colori verdi e fulvi, accarezzata dalle azzurre distese, olezzata da odorosi venti, una giovane.
Le Driadi pietose l'avevano raccolta, appena nata, quando la madre l'aveva abbandonata nei boschi per nascondere il frutto del suo insano amore per il giovane Ares.
Gli anni trascorrevano tranquilli e Deli, questo era il nome che Driope, la regina delle Ninfe, le aveva dato, era diventata una meravigliosa fanciulla. finanche i boschi ove ella correva libera e gioiosa godevano del suo fascino celestiale. Al suo passaggio, gli alberi s'inghirlandavano di fiori olezzanti e sempre vivi, i fiumi si accendevano di colori cangianti dallo smeraldo allo zeffiro, i venti si tramutavano in leggere brezze, che vivificavano l'aria odorosa di fiori di mandorle, di bergamotto, di zagara. Gli animali, dal docile cervo al selvatico cinghiale, dal velenoso serpe al solitario passero, s'erano innamorati di lei.
Il rettile aveva perduto la sua lingua bifida ed il suo veleno, la grifagna aquila i suoi acuminati artigli, il lupo le sue terribili zanne, il cinghiale il suo ispido manto ed il frugno; il cervo gioiva d'essersi tramutato in destriero, il passero provvedeva a dipingere di molteplici colori il suo piumaggio e ad addolcire il suo canto.
Deli li amva tutti e con eguale affetto.
Il suo avvenente sorriso rendeva quei luoghi luminosi ed i suoi abitanti felici di poter respirare la sua stessa aria, di poter bere alla stessa fgonte ov'ella immergeva il suo pudico corpo.
ma si sa che la felicità, la gaiezza sono effimere e passeggere e giammai eterne, come il padre suo Ares.
Gli dei dall'alto del placido Olimpo osservavano compiacenti il frutto dell'amore tra il divino Marte e la terrestre Elima. La fama dell'incommensurabile bellezza di Deli giunse fino agli Inferi e alle orecchie dello smanioso Plutone, che, scalato lo Stige, si piantò in quei luoghi, mai contaminati prima da desideri umani o divini, come un guardiano nella vigna.
Postosi voglioso col suo tozzo corpo sul monte Erice, attese il momento propizio per fare sua la giovinetta.
Le Driadi intuirono subito le sue scellerate intenzioni, ma nulla potevano, povere Ninfe, contro il potente e nerboruto dio dell'inferno.
Ed ecco il crudele e arrogante dio scendere dal monte a gran passi ed arrestarsi alla vista della giovane sdraiata all'ombra di un centenario albero di carrubo. Veloce come un fulmine, s'avvento contro il corpo di lei, famelico d'amore
La poveretta provò con tutta la sua forza a divincolarsi dall'amplesso lussurioso del dio.
La pianta, sotto cui si stava compiendo l'empia scelleratezza, ritrasse i suoi lunghi e tortuosi rami per mostrare agli dei il grande crimine consumato.
Immediatamente, dall'alto scese rapida una grande schiera d'armigeri, capeggiata dal padre Marte, che, già, prima ancora di raggiungere la terra inizio a vomitare sull'infame Plutone un mare di frecce incandescenti. Nessuna lo colpì, grazie al suo ampio scudo.
L'armata divina, giunta nel luogo dello scempio, ingaggio col dio degli Inferi una violentissima battaglia. Fu una immane carneficina: ad uno ad uno i combattenti, Marte compreso, caddero sotto i mortali fendenti del terribile dio dello Stige.
Deli era atterita dal fiume di sangue che insozzava quegli incontaminati luoghi. Raggomitolata nel suo impaurito e villipeso essere, non riusciva a proferire parola. La lingua sembrava esserle seccata. Poi, presa da sommi terrore e sconforto, stralunò gli occhi, esanime.
Gli dei dall'alto osservavano lo svolgersi della battaglia e, allo stramazzare senza vita della giovine, levarono un grido di dolore. E mentre il pietoso Zeus tratteneva l'anime di Deli, che s'avviava per i verdi sentieri Elisi, il buon Eolo liberava dal suo otre il leggero zeffiro, che con la sua aura amorosa la risoffiò nel corpo di lei. La materna Venere, allora, scese dalla sua vetta ericina e, dopo averla avvolta col suo manto, òa strinse forte a sè per trasportarla lontano dai desiri insani di Plutone. Dopo un breve viaggio, la depose amorevolmente nelle acque marine, prospicenti Drepanon, trasformandola in isola. Quindi, l'affido alle cure delle Nereidi, che l'assistettero fino alla nascita dei semidei: Hiera e Pharbantia, che gli uomini, dimentichi del passato, chiameranno, poi, Marettimo e Levanzo e la loro madre Deli: Favignana.
Il mito della loro bellezza non si è mai spento, sebbene i millenni trascorsi. Non è difficile incontrare madre e figlie. Sono situate nel mare aeguseo, ad appena mezz'ora d'aliscafo da Trapani.