LE NUOVE PAURE

La fuga dei nuovi emigranti
dall'Isola che non c'è più

di PAOLO RUMIZ

Palermo, così il profondo Sud s'è ammalato di troppo vuoto nell'Italia a due velocità

Tramontano fame, guerra, pestilenze, persino disoccupazione. Emorgono la micro-criminalità, il Globale, la perdita della "roba". E poi la tecnologia, i veleni, un progresso che corre troppo.
Tutto ci spaventa: lo straniero, l'Altro, ogni diversità che viola il cortile di casa. La Paura degli italiani oggi ha nuovi volti. Dalla Sicilia e dal timore di perdere l'identità parte il nostro viaggio.
"Per la prima volta ho paura che il mondo finisca". Sigaretta accesa, barba salepepe, lenti nere e camicia aperta alla commissario di Montalbano, Giovanni Panepinto, Sindaco di Bivona, piccolo Comune in mezzo ai monti infuocati di Sicilia, lascia cadere la frase nel silenzio del pomeriggio. Tra Corleone e Agrigento è l'ora feroce delle cicale, e da una terrazza sugli ulivi l'uomo mostra la topografia della sua inquietudine. Raffadali, Ribera, San Biagio, Cianciana, Sant'Angelo, e altri borghi bianchi e dispersi in cima ai cocuzzoli, deformati dalla vampa di quest'estate bestiale, senz'acqua.
Ogni settimana è un pezzo di quel mondo che se ne va. Se lo portano via i pullman, con viaggi speciali pieni di gente che va a ingrossare le periferie di Parma, Treviso, Cremona, Brescia, Amburgo, Dusseldorf. Dal '94, da quando son saltati in aria i cantieri truccati, i soldi facili e le tangenti, da quando anche gli appalti pubblici sono finiti, nella Sicilia Interna la disoccupazione è schizzata al cinquanta per cento e da allora l'emigrazione della forza lavoro - quella più povera, dell'edilizia - ha raggiunto punte del quaranta.
Non c'è nessuna guerra intorno, ma le cifre sono da pulizia etnica. Dieci, quindici, ventti per cento di popolazione in meno. Succede a Menfi, a Cattolica, in altri paesi lì intorno. Alessandria della Rocca è crollata in soli otto anni da cinque a tremila abitanti. Tu pensi: emigrazione. E invece no, è desertificazione. Un temo po, chi restava faceva almeno figli, e chi partiva voleva tornare. Oggi, nella parte segreta e profonda dell'isola c'è il rischio che restino solo gli impiegati, i vecchi e i Carabinieri.
"Persino l'America, cinquant'anni fa, era una scelta meno definitiva del Nord Italia di oggi. Mio padre emigrò in Germania - ricorda il Sindaco - poi tornò, ci mandò al liceo, ci costruì un futuro. Oggi si va magari vicino, in Veneto, Lombardia, Emilia: ma è per sempre. I nostri giovani avranno anche più soldi, più cultura, più aspettative, però tante certezze in meno. Non immaginano un futuro quì. Vogliono andarsene". E' la fine di un'identità. I siciliani di paese come gli Indios in Sudamerica.
E' da secoli che l'isola convive con le paure. Ne ha fin troppe. La siccità, la mafia, il parassitismo e la cialtroneria del notabilitato, l'Islam alle porte, l'invadenza delle "famiglie", una Regione-stato che ha prodotto più uscieri che industriali col suo assistenzialismo miliardario. Panepinto sa benissimo che qui ci vuol coraggio anche per alzarsi la mattina: ci ha fatto il callo. La Sicilia abituata a tutto, anche alla morte. Ma questa volta è una paura diversa. Nuova, inafferrabile, globale. Implacabile come la siccità.
Bivona non è un Bronx come Licata. Non ha morti ammazzati come Favara. Nella provincia di Agrigento, è noto come paese modello, pulito, con i conti in ordine, Un posto fortunato, pure: clima invidiabile, terra buona, i peschi più belli del Mediterraneo, un corso di laurea in scienze forestali. Da più di un secolo ha un liceo che ha fatto crecere una piccola borghesia di mestieri, laica e riformista. Un isolotto di socialismo spontaneo, che già nel 1860 seppe darsi una società di mutuo soccorso. Qui l'Europa l'aspettano da sempre. Anche la Sinistra al governo l'aspettavano da sempre.
Nel '96 la liberazione arrivò davvero. Che giorni! Crollava la prima Repubblica, la mafia perdeva colpi, l'Europa si avvicinava, la Sinistra andava ala potere. E dallo choc, un pò ovunque al Sud, emergeva la voglia di riscato, una società nuova, una piccola imprenditoria con in corpo la speranza di poter rischiare secondo le regole: senza barare, e soprattutto senza emigrare. Dopo i miliardi a pioggia, furono lanciati i contratti d'area: patti trasparenti fra Stato e territorio, capaci di co-finanziare progetti credibili e collaudati dalle banche. Bivona divenne capofila di un consorzio di tredici Comuni, mobilitò la gente di buona volontà, misa in fila 62 mini-progetti per 750 posti di lavoro. Pochi, per il Nord. Ma tantissimi per quel buco lontano da Dio.
Pareva fosse tornato Garibaldi, e invece arivò un'ansia nuova. Si vide che Internet metteva in rete il mondo, ma la distanza col mondo tecnologico aumentava. L'Europa entrava in Sicilia, eppure l'emigrazione continuava; anzi, diventava irreversibile. La sinistra era al potere dopo mezzo secolo, ma non accadeva nulla di storico.
D'Alema sorrideva, parlava di "New Economy", e intanto Berlusconi sposava i secessionisti al Nord e il vecchio statalismo al Sud. Velttroni diceva "I care", andava in Africa, ma il Meridione profondo spariva dalle mappe. Come se il territorio fosse un disturbo per i chierici, saputelli e telegenici, della nuova era
Propio nel momento in cui la politica nuova andava al potere, sembrò che il potere uscisse dalla politica, emigrasse altrove. "Improvvisamente tutto cominciò a dipendere dalle banche, dagli starnuti di Fazio o dagli umori della grande finanza". Era come se, assieme all'Europa, sbarcasse sull'Isola una modernità apolide e senza radici, senza territorio e senza memoria; una globalizzazione più simile al demone mediterraneo del Caos che a un nuovo ordine e a una nuova sicurezza.
Contro l'ansia del domani, racconta lo psicologo Innocenzo Fiore, la Sicilia s'è già attrezzata, col disincanto. Il motto è: meglio un male già provato che un bene da provare. Il futuro, poi, è sempre stato così incerto che l'hanno tolto dalla grammatica. Non dici "Domani farò", ma "Ho da fare": non vai oltre il tempo presente.
Contro questa paura nuova, invece non hai antidoti. E' qualcosa da cui non ti protegge nemmeno l'insularità. Un salto epocale come la fine delle lucciole: l'approdo alla società dell'incertezza, a un dio imperscutabile che mette in gioco le culture, sradica e semplifica, decide chi è superfluo e chi no. Il profondo Nord si intasa, soffre di sindrome d'assedio? Il profondo Sud si ammala di troppo vuoto. Due facce dello stesso spaesamento, in un mondo a due velocità.
Strana Heimat la Sicilia. La sua paura non diventa pregiudizio per il diverso o lo straniero. "E' un fatto che non può accadere - ci spiega Leoluca Orlando, sindaco di Palermo - perchè qui abbiamo già il meticciato nel Dna". In provincia di Ragusa trovi 22 mila maghrebini su 280 mila abitanti. A MAzara cresce il numero dei tunisini persino fra i capitani dei pescherecci. In Vuccirìa, cuore popolare del capoluogo, l'immigrato è legato alla gente locale dallo stesso patto di solidarietà. La Sicilia non urla richieste di devolution, non scava tra le ossa dei Celti, non vive stress da superlavoro, non guarda a Haider. Eppure, è una piccola patria in crisi epocale. Per sentirne l'ansia, devi soltanto cercare più a fondo.
Guarda Palermo per esempio. Nella vita della metropoli non c'è il grande vuoto che ti lascia solo con le cicale e il vento. Non senti l'ansia bestiale dell'interno. Da tre anni, poi, c'è una normalità rivoluzionaria. Niente omicidi di mafia: non accadeva dallo sbarco a Marsala. La sera, in piazza Marina o all'Arenella te ne vai tra piano-bar all'aperto, negozi grandi firme e fiumi di giovani. Molti di quei ragazzi non hanno idea della cupezza degli anni delle stragi: per qualcuno, Falcone e Borsellino son solo dei nomi. In compenso, "la mafia è uscita dalle teste", ci confida il sindaco, e sa che è già una grandissima vittoria. Palermo, conferma il prefetto Renato Profili, "comincia a superare il suo complesso di distanza dall' Europa".
Naturalmente, quella cosa che non si nomina c'è lo stesso: solo che ha imparato a non far rumore. Le bombe nei negozi sono sparite con la stessa velocità dei venditori di pane e panelle, soppiantati da Hot Dog e Sachertorte. oggi, per chiedere il pizzo, l'avvertimento si riduce a un pò di colla universale nel lucchetto, e tutti sanno cosa vuol dire. L'uomo d'onore non lo distingui più da nulla: non ha le camicie di seta di Alongi e le scarpe inglesi sporche di polvere di cantiere. Non ammazza nemmeno. Non ne ha bisogno, perchè la sua egemonia è solida come il calcestruzzo. Anche i grossi affari si fanno in silenzio. Nell'ombra, ti sussurrano i palermitani, Provenzano e soci restano i padroni della città.
Ma accade una cosa strana: la stessa mondializzazione che sul piano finanziario offre ai boss nuovi nascondigli e nuovi provvidenziali anonimati, sul piano culturale diventa una bomba, un generatore di insicurezza. Non è più l'ansia primordiale isolana. Di essa, racconta il sociologo Rodolfo Giorgetti, la mafia imprenditrice non ha mai avuto timore, anzi: "Di quell'ansia si è sempre approfittata per imporre la sua mediazione ai deboli". Stavolta è diverso: è il Grande Fratello Globale che sbarca nell'Onorata Società, ne rompe le difese, la mina dall'interno, impone regole nuove.
E' una nemesi impressionante. La stessa mafia che ieri esportava in America pezzi dell'identità siciliana di paese, oggi si lascia americanizzare in casa. Il modello tradizionale del macho non vince più, nemmeno a Corleone. La donna, scrigno dell'onore maschile, porta a spasso l'ombelico con spudotarezza egemone. I giovani sentono il dialetto come povertà culturale, si drogano, persino si pentono. Così avviene che i capi e i capetti, padroni ossequiati del territorio, siano magari dei perdenti dentro casa loro; capita che mogli e figli non obbediscano più. "L'insicurezza è entrata nella mafia" conferma il professor Girolamo Lo Verso, studioso di psicoterapia e di psichismo mafioso.
Meno male, pensi. Ma l'Onorata Società, spiega Lo Verso, non è solo malavita. E' anche un fantastico sismografo che registra le mutazioni profonde dell'ambiente. Ed allora ecco che se persino una struttura blindata e fondamentalista come la mafia va in crisi identitaria, significa che il terremoto, intorno, è forte sul serio. Vuol dire che nel bene e nel male, a Palermo come a Lercara, è davvero la fine di un mondo.

da "La Repubblica" di Mercoledi 12 luglio 2000